La parola agli architetti 05/2020

Orti urbani, vertical farm, giardini di comunità… le progettiste Elena Carmagnani e Francesca Grilli non hanno dubbi: la trasformazione delle città deve necessariamente passare dalla valorizzazione del verde urbano e dalla crescita di sistemi di produzione agricola sostenibili. Stimolati dal manifesto “Architettiamo la città per la fase due”, i due contributi che ti presentiamo oggi immaginano una Torino post-pandemia fondata sull’armonia con la natura.

Coltivare la città

Tema centrale, emerso con forza negli ultimi mesi, è la trasformazione degli spazi aperti sotto-utilizzati a servizio di condominii o altre tipologie di edifici. Su questo tema noi lavoriamo dal 2010, anno di realizzazione dell’orto condominiale sul tetto piano dello Studio999 e, in seguito, con l’associazione OrtiAlti che promuove interventi di orticultura urbana a servizio delle comunità, trasformando lastrici solari in orti e giardini di comunità. C’è ancora molto da fare, sia a livello di snellimento delle procedure che di attivazione di policies urbane che facilitino queste realizzazioni, mettendo insieme attori pubblici e privati e terzo settore. Molte buone pratiche all’estero sono di ispirazione come il progetto Parisculteurs che sta trasformando 100 ettari di tetti piani in orti e farm urbane, coinvolgendo la comunità degli architetti con imprese e ONG. Anche nella piccola scala il nostro tessuto urbano è ricco di piccole superfici con grandi potenzialità di trasformazione che possono essere messe a disposizione degli abitanti e integrate con i cortili per ripensare gli spazi dell’abitare.

Elena Carmagnani, architetto

Esercizi di immaginazione

Bisogna ripensare la casa e la città includendo ciò che questa società ultra consumista e distruttiva ha eliminato dal nostro vivere e cioè la natura. Mi immagino città più verdi, meno congestionate, improntate sul trasporto pubblico e sulla mobilità dolce, mi immagino la rivoluzione della produzione agricola attraverso le vertical farm che non consumano tanta acqua per la produzione dei prodotti agricoli. Me le immagino nelle città, nelle fabbriche dismesse, in modo tale da rendere capillare la distribuzione evitando i grandi trasporti.
Mi immagino anche di poter andare a fare la spesa direttamente lì, senza imballaggi e rifiuti plastici. Mi immagino anche piccoli elettrodomestici che mi producano direttamente in casa le verdure e mi immagino un mondo dove non si consumi più carne sia per motivi etici che per motivi ambientali. Mi immagino le piazze e le vie piene di verde e di orti, solcate da gente in bicicletta o in monopattino. Mi immagino più solidarietà e maggiore inclusione. Mi immagino condomini collettivi dove si condividano dei servizi utili a tutti (lavanderie, cucine collettive, spazi sociali).
Mi immagino un mondo che produca non più merci, ma servizi in modo tale da ridurre gli sprechi e il rifiuto. Mi immagino che tutto ciò che viene prodotto venga inserito in un ciclo vitale e – come la natura ci insegna – mi immagino che ciò che consideriamo scarto o rifiuto sia reinserito nel ciclo produttivo.
Mi immagino quindi una società che sia in armonia con la natura, che produca ciò che può far bene al nostro pianeta, come fanno gli alberi che hanno reso e continuano a rendere respirabile l’aria di cui si necessita per vivere. In fondo respiriamo l’aria degli alberi!
Non vorrei invece un mondo che continua a produrre e consumare come se niente fosse. Non vorrei una società produttivista che trascini tutti noi nel baratro. Vorrei che si parlasse di più di capitalismo naturale e di rispetto dell’ambiente. Non vorrei vivere in una casa attrezzata per la pandemia, girare per strada con la mascherina e sedermi in una panchina progettata con le misure di sicurezza per tenere distanti gli altri.

Francesca Grilli, architetto

 

 

 

 

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