L’impatto dell’AI sul mondo della progettazione si gioca su diversi livelli: dal design generativo alla gestione di task operative e a basso valore aggiunto. La tecnologia evolve rapida: oggi si parla già di AGI – Intelligenza artificiale generale – e di forme di interazione in autoapprendimento. I professionisti devono imparare a usare l’opportunità senza subirla: l’Ordine degli Architetti, Paesaggisti e Pianificatori di Torino e Provincia in prima fila per favorire la democratizzazione e l’accesso diffuso alla comprensione e all’impiego dei nuovi strumenti che la scienza offre al mercato. L’approfondimento a cura di Maria Chiara Voci. Buona lettura!
Per quanto abituati a collocare l’intelligenza artificiale in un futuro più o meno remoto, l’evoluzione di questa tecnologia è ormai del tutto presente nella nostra quotidianità. Anche in campo architettonico, l’AI – nei suoi sviluppi generativi e non solo – sta prendendo sempre più piede e si sta affermando come protagonista dei prossimi decenni.
Il tema è, per questo, al centro dei programmi di formazione dell’Ordine degli Architetti, Paesaggisti e Pianificatori di Torino e Provincia che, in forza di una collaborazione su un progetto innovativo sviluppato da e con il Politecnico di Torino, intitolato “Architetti e IA” e mirato ad esplorare le sfide e le opportunità che l’innovazione tecnologica riserva al mondo della progettazione architettonica, ha organizzato il 20 marzo presso Toolbox Coworking un primo incontro dal titolo “Pratica Architettonica e Intelligenza Artificiale: A Che Punto Siamo?”. L’evento è stato promosso anche come risultato di un’indagine che l’OATO ha rivolto lo scorso anno a tutti i propri iscritti per raccogliere informazioni su necessità, percezioni e conoscenze dei professionisti del territorio in relazione all’applicazione dell’intelligenza artificiale nel settore. Ne emersa l’urgenza di potenziare l’attenzione sull’argomento.
Uno strumento da gestire: compito dell’OATO consentirne a tutti la comprensione
«I professionisti devono imparare a gestire questa tecnologia, studiandone il funzionamento come soluzione alla risoluzione e semplificazione dei processi e, al contempo, prendendo conoscenza dei limiti – ha spiegato Ilaria Ariolfo, consigliere dell’Ordine degli Architetti di Torino -. Per questo, come Ordine, ci siamo presi l’impegno di aiutare i nostri iscritti ad approfondire il tema, imparando a usare l’open AI, approfondendo il tema di come formulare all’assistente virtuale prompt corretti – cioè domande efficaci – per avere risposte in linea con le attese. In presenza di una tecnologia nuova e che, considerata la sua facile fruibilità e la velocità nei progressi, avrà senza dubbio un impatto importante sul nostro lavoro di progettisti, la conoscenza e lo scambio di esperienze è la chiave per favorire la democratizzazione e l’accesso diffuso alla comprensione e all’impiego di questi strumenti. Democratizzazione che è compito dell’Ordine garantire ai propri iscritti».
Una tecnologia che impatta su diversi livelli
L’impatto dell’AI sul mondo della progettazione si gioca su diversi livelli. Il design generativo attraverso l’uso degli algoritmi consente agli architetti di avere suggerimenti in termini di ispirazione così come di esplorare rapidamente diverse opzioni di progettazione, ottenendo idee per soluzioni innovative (per quanto da verificare in termini di reali fattibilità). L’analisi dei dati aiuta a fornire informazioni preziose per il processo decisionale progettuale (ad esempio, indicazioni sulle condizioni climatiche, dati demografici, visualizzazione di flussi e usi, presenza di normative edilizie locali). Ma non solo. L’AI applicata alla modellazione digitale migliora la precisione di simulazione avanzate per valutare, anche in termini predittivi, il comportamento strutturale, termico e acustico di un edificio; aiuta gli architetti a ottimizzare il design per migliorare l’efficienza energetica e il comfort degli utenti; semplifica computi e processi di progettazione a basso valore aggiunto e automatizza la creazione di disegni tecnici e documentazione, riducendo in alcune situazioni il tempo necessario per completare tali compiti e minimizzando gli errori umani. Infine, l’AI può essere utilizzata anche durante la fase di costruzione per ottimizzare il processo, monitorare il progresso del lavoro e prevedere eventuali problemi.
L’importanza del confronto
A partire da questa premessa, l’evento organizzato a fine marzo ha incrociato il racconto di otto esperienze, portate sul palco da altrettanti studi del territorio (citare quali sono), che hanno iniziato a interfacciarsi con le possibilità tecnologiche dell’intelligenza artificiale. L’incontro – introdotto dalle ricercatrici del Politecnico Saskia Gribling, Luciana Mastrolia e Marta Rossi – ha incrociato i punti di vista di una serie di studi di architettura del territorio di Andrea Alessio di Studio Plac, Anselmo Cane e Vito Colacicco di Mosa Architetti, Massimiliano De Leo di De Leo & Drasnar Architects, Paolo Dellapiana di Archicura, Walter Nicolino di WNA Walter Nicolino Architects, Alessandra Paracchi; Luca Pannoli di Ondesign. Luca Morena, fondatore Nextatlas, ha parlato di servizio innovativo che usa l’IA per identificare trend emergenti. Nel dibattito finale, guidato da Alessandro Armando, Maurizio Ferraris Claudio Marciano e Maria Cristina Milanese hanno animato una discussione sull’evoluzione dell’IA e sui cambiamenti che introduce nel mondo del lavoro.
«Come ogni grande cambiamento, anche questa rivoluzione tecnologica sta avvenendo per gradi – ha spiegato Morena – anche se di fatto, nel suo uso pratico, l’AI è un’innovazione recente solo per il grande pubblico, visto che le prime versioni dei GPT risalgono al 2018 e le pratiche di machine learning erano già in atto nel secolo scorso. L’obiettivo a cui si tende oggi è la cosiddetta AGI, ossia l’intelligenza artificiale generale, che a differenza della AI semplice, che viene addestrata per specifiche task, ha la peculiarità di superare questo limite grazie a meccanismi di auto-apprendimento ed è in grado, pertanto, di svolgere una pluralità di compiti senza la necessità di un addestramento specifico».
Fra opportunità e limiti: il dibattito
Da questa premessa, si è cercato di inquadrare il tema fra opportunità e impatti. L’Intelligenza artificiale – hanno sottolineato in diversi – è semplice “automazione” artificiale, che diventa “intelligenza” nel momento in cui si sovrappone alla creatività. In questo senso, in campo architettonico, rappresenta un valido strumento di partenza, ma la competenza dell’architetto rimane imprescindibile per rielaborare gli output e gestire le evidenti lacune ancora presenti, come l’incapacità di riconoscere la totalità dei vincoli forniti come input dal progettista e la tendenza alla riduzione qualitativa delle risposte dopo un numero ripetuto (ma piuttosto ridotto) di query. Soprattutto, in un panorama in cui le mansioni meccaniche e ripetitive sono sempre maggiormente delegate alla tecnologia, è importante che l’architetto continui a esercitare la propria autorialità attraverso la capacità creativa, che rimane il tratto peculiare e distintivo rispetto alla macchina.
«Il medesimo fatto di condurre studi sull’impiego dell’AI – ha spiegato Luciana Mastrolia, PhD, docente al Dipartimento DAD del Politecnico di Torino – è di per se stessa una potenzialità perché queste ricerche racchiudono un tentativo di introspezione e di comprensione più profonda del funzionamento della mente umana. Solo capendo come funziona il nostro cervello, infatti, possiamo replicare il medesimo funzionamento sulla macchina. Per questo, così come è già accaduto nel passato con i software AutoCAD o con il BIM, la direzione che l’AI prenderà, dipenderà da quanto permetteremo alla tecnologia di permeare i diversi ambiti del quotidiano e di quanto riusciremo a mantenere al centro la figura imprescindibile dell’architetto, a cui continuerà a spettare il compito di sistematizzazione della totalità dei processi, con implicazioni anche etiche, sociali e culturali non delegabili alla macchina».
In un panorama in cui l’impiego dell’intelligenza artificiale ha un ruolo di supporto integrato per la produzione di molteplici soluzioni in un tempo estremamente contenuto (basti pensare che, solo in fase progettuale, la fase di produzione delle immagini può essere ridotta da 15 a 2 giorni), l’AI va conosciuta e usata, insomma, laddove davvero semplifica il lavoro quotidiano, così come accade per la gestione massiva dei dati e per potenziare a livello esponenziale le capacità umane replicabili, come quelle di calcolo e imitazione: a tal proposito, come stigmatizzato da WNA Walter Nicolino Architects, la generazione del Gemello Digitale delle città è solo uno degli esempi di come la combinazione tra un’ingente mole di dati e l’analisi predittiva possa favorire le politiche urbane, con implicazioni positive sui servizi, sulla mobilità e sull’inquinamento. Così anche può essere impiegata per facilitare il dialogo con la committenza attraverso la generazione di immagini e suggestioni (come ha spiegato Mosa Architetti) o per snellire gli adempimenti burocratici, come suggerito da Alessandra Paracchi, pur con i limiti di applicazione ancora presenti su questo fronte o semplicemente per riassumere il contenuto di bandi pubblici in velocità e potenziare in appeal gli aspetti da mettere in luce nel proprio curriculum, come sperimentato da Studio Plac.
Al contrario, sul fronte della creatività, se da una parte, come spiega Ondesign, la velocità di elaborazione dei dati aiuta a fornire suggestioni su trend e tendenze in atto nel comparto immobiliare e se, come aggiunge Archicura, può supportare la creatività che resta caratteristica umana, dall’altra come stigmatizzato da De Leo & Drasnar Architects e condiviso dai più, resta concreto il rischio di creare architettura di bassa qualità affidandosi esclusivamente all’AI, per via anche e non solo della mancanza di un supplemento d’anima.
«L’AI permea ormai il nostro presente, con lo sguardo costantemente puntato verso il futuro – ha invitato alla riflessione Maurizio Ferraris, docente di Filosofia presso L’Università degli Studi di Torino -. Tendiamo a proiettare su di essa aspettative sempre più vicine a quelle di una “vera” intelligenza, dotata di volontà, sentimenti e passioni: da qui la concezione in perenne divenire di queste tecnologie, che però rimangono tali e come tali devono continuare a essere considerate, pur sfruttando al meglio i vantaggi che il binomio vincente tra intelligenza umana e artificiale, se ben impiegato, è in grado di generare». Ha concluso Claudio Marciano dell’Università di Genova: «Oltre all’impatto procedurale di queste tecnologie, la discussione deve spostarsi anche in ambito sociologico. Un’altra delle realtà con cui siamo inevitabilmente costretti a confrontarci è quella della disoccupazione tecnologica, derivata dai processi di automazione: l’impatto sulla quantità e sulla qualità del lavoro che ne deriva rende infatti sempre maggiore la necessità di democratizzazione di questi strumenti e la capacità dell’attore pubblico di avere un ruolo di rilievo nel processo di design di queste tecnologie».
Valutazioni finali
Quali sono dunque le valutazioni del percorso portato avanti portato avanti dal Politecnico di Torino con l’Ordine degli architetti di Torino e Provincia e quali le eventuali prospettive di sviluppo futuro? A rispondere è Maria Cristina Milanese, presidente dell’OATO: «Questo progetto ha rappresentato un passo significativo nell’esplorazione delle nuove frontiere dell’intelligenza artificiale nella progettazione architettonica e ha ulteriormente confermato la proficua collaborazione con il Politecnico di Torino. In particolare, abbiamo contribuito ad implementare la loro ricerca, mirata ad analizzare e comprendere meglio le implicazioni di questa innovazione nel nostro settore. È stato importante affrontare questa evoluzione con un pensiero critico, infatti, mentre l’intelligenza artificiale offre nuove opportunità e strumenti, talvolta potenti, per ottimizzare processi di progettazione e produzione, è fondamentale considerare che l’architetto, durante il suo percorso di avvicinamento al progetto e al ‘costruito’, elabora e sviscera tutti quegli aspetti etici, sociali e culturali che possono emergere, cercandone la soluzione più idonea da realizzare. Affermo questo concetto, con convinzione, visto che la nostra professione è intrinsecamente legata alla creazione di spazi che riflettano e rispondano alle esigenze sociali culturali e ambientali. Pertanto, occorre esaminare attentamente come l’intelligenza artificiale possa integrarsi in questo contesto senza compromettere l’autenticità e la sensibilità del processo progettuale. Ritengo che si debba utilizzare questa tecnologia in modo responsabile, mantenendo sempre al centro delle nostre proposte progettuali i valori sociali, la qualità dell’ambiente costruito e il benessere delle comunità che serviamo».