«L’architettura è la più onesta delle arti, magari forzatamente, e non può mentire. Ha una responsabilità e deve fare i conti con la fisica, perché gli edifici devono stare in piedi e devono essere abitabili. Necessariamente gli architetti devono fare i conti con l’etica, forse più di altri».
È il rapporto tra architettura ed etica individuato da Vito Mancuso, teologo e filosofo ospite dell’Ordine e della Fondazione durante la serata dello scorso 12 dicembre. L’ha intervistato per noi Paolo Morelli, giornalista del Corriere della Sera di Torino e moderatore della serata. Buona lettura!
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«La società, come dice il nome, è un insieme di soci. Perché possano stare insieme occorre gli esseri umani siano toccati nel profondo, al fine di condividere un obiettivo, un ideale o un metodo. È in questo senso che l’etica costituisce una “architettura sociale”». Lo racconta Vito Mancuso, teologo e filosofo, in libreria con Etica per giorni difficili (Garzanti), ospite all’evento natalizio con il quale l’Ordine degli Architetti di Torino e la Fondazione per l’architettura hanno salutato gli iscritti nella cornice del Sermig. «Se condividiamo qualcosa nel nostro cuore – aggiunge Mancuso – nasce un sentire alla base di ciò che faremo. In questo senso l’etica è architettura sociale, perché abbiamo bisogno di un ideale». Qualcosa in cui riconoscersi, qualcosa di «superiore» che ci indichi la strada nei momenti più bui, più difficili.
Vito Mancuso, nel suo lavoro muove una critica forte a Friedrich Nietzsche, perché?
«Non gli attribuiscono niente che non abbia spiegato. L’idea che si possa trattare con rispetto qualunque essere vivente è quanto di più lontano da Nietzsche. Oggi abbiamo dimenticato il rispetto reciproco e abbiamo dimenticato anche perché rispettarci, del resto la scuola non consegna più ai ragazzi un’educazione, ma un’istruzione. Non è sbagliato, ma parziale, perché non siamo solo strumenti. L’essere umano è capacità nel pensiero di critica e questo implica una particolare educazione. Stiamo dimenticando la legge del cuore».
Nietzsche diceva che “Dio è morto”. Aveva torto?
«In questo aveva ragione, perché è morto il fondamento della nostra società cui fare riferimento, capendo che il bene va fatto sempre e il male va evitato. Naturalmente è una massima, poi ognuno ragiona e dice “per quale motivo devo farlo?”. Dio è un certo tipo di livello, poi si conviene a un altro livello, quello della vita vera, al quale gli umani ragionano».
Come facciamo a non perdere di vista il livello più alto?
«Occorre vivere in profondità l’esperienza umana e secondo me incontrare le sfere del bene e della bellezza. Partirei proprio dalla bellezza. Ne facciamo esperienza e credo sia una condizione universale, ma possiamo capire che abbiamo la capacità di diventare “belli” interiormente, come suggeriva Socrate. Se uno sente questo richiamo capisce che nella vita, oltre al guadagno, c’è anche il desiderio che diventa aspirazione, insomma qualcosa di più importante. Quando facciamo esperienza di ciò che chiamiamo ispirazione ci apriamo alla trascendenza, se religiosa parliamo di Dio, se non religiosa parliamo di etica. L’esperienza è quindi tra chi ha fede e chi no».
Che ruolo gioca la deontologia?
«La deontologia è l’applicazione concreta dell’etica, è un codice di comportamento. Ad esempio un medico, prima del guadagno, deve mettere la salute dei propri pazienti come priorità. Se prescriverà esami inutili magari guadagnerà di più, ma tradirà la deontologia. Vale per tutte le professioni. La violazione di una norma comporta poi delle sanzioni, ma qui si entra nella sfera del diritto, che a sua volta ha la necessità di imporre delle leggi».
Quale legame esiste fra etica e architettura?
«L’architettura è la più onesta delle arti, magari forzatamente, e non può mentire. Ha una responsabilità e deve fare i conti con la fisica, perché gli edifici devono stare in piedi e devono essere abitabili. Necessariamente gli architetti devono fare i conti con l’etica, forse più di altri».
Paolo Morelli