Cari colleghi,
negli scorsi giorni abbiamo incontrato la Regione Piemonte a proposito del progetto del Parco della Salute. È uno dei principali investimenti che interesserà il nostro territorio nei prossimi anni; un’opera da 568 milioni da realizzare con partenariato pubblico-privato: 437,5 milioni serviranno per gli edifici, 18,5 milioni andranno alle bonifiche e 112 milioni saranno destinati a tecnologie e arredi. Interesserà una porzione significativa del territorio di Torino, dei suoi abitanti e di chi lo utilizzerà per motivi di cura o di ricerca.
Sembrerebbe una buona notizia, ma purtroppo non lo è del tutto, almeno per gli architetti:
nello studio di fattibilità non è in alcun modo previsto il ricorso allo strumento del concorso, benché si tratti di un’opera di rilevante interesse collettivo e benché il committente sia pubblico e quindi soggetto al Codice degli Appalti.
La procedura che sembrerebbe essere stata scelta è quella del dialogo competitivo, che inevitabilmente taglierà fuori gli studi di piccole o medie dimensioni, i più giovani, i soggetti con un potere economico e di contrattazione minore. L’unica apertura nei confronti del concorso è stata fatta in relazione al riuso del vecchio fabbricato delle Molinette e delle aree di collegamento, ma i tempi sono comunque incerti.
Da tempo noi seguiamo la vicenda del Parco della Salute: nel 2015 avevamo promosso un incontro pubblico con l’assessore Antonio Saitta sul tema e in quell’occasione (oltre che attraverso le vie formali) avevamo richiesto un coinvolgimento degli architetti a livello istituzionali e attraverso concorsi di progettazione. Quella e le successive richieste purtroppo non sono state ascoltate.
Non è la prima volta che un committente non ricerca il coinvolgimento allargato degli architetti. Questo tema è tornato agli onori della cronaca per il caso dell’ex Caserma La Marmora, di proprietà di Cassa Depositi e Prestiti, che in questi giorni ospita la manifestazione Paratissima.
Su un intervento che riguarda un’architettura di fine ‘800 che si sviluppa su una superficie di 32mila metri quadrati ed è composta da 8 corpi di fabbrica realizzati intorno ad una corte centrale di 5mila metri quadrati, un edificio simbolo che custodisce memorie di un passato doloroso, credo che sarebbe stato auspicabile e interessante anche per il committente, ricorrere al concorso e a forme di coinvolgimento più allargate, nonostante la natura privatistica del soggetto appaltante.
È necessario un cambio di mentalità nella società civile. Gli architetti devono essere i protagonisti delle trasformazioni del territorio, come avviene negli altri paesi europei. L’Ordine si sta spendendo perché in futuro questo diventi realtà.
Massimo Giuntoli
Presidente Ordine Architetti PPC Torino