Da tempo si dibatte delle conseguenze della liberalizzazione delle tariffe introdotta dal decreto Bersani in poi. Solo di recente però il tema dell’equo compenso è entrato a far parte dell’agenda politica. Nelle scorse settimane infatti è stato assegnato alla Commissione Lavoro del Senato il disegno di legge dal titolo: “Disposizioni in materia di equità del compenso e responsabilità professionale delle professioni regolamentate” del Senatore ed ex Ministro del Welfare, Maurizio Sacconi.
All’interno della relazione di accompagnamento infatti si trova: “Mentre molte tra le professioni ordinistiche sono alimentate dalla seconda scelta di un esercito di laureati disoccupati, si scatena una sfrenata concorrenza, cui concorrono anche le gare al ribasso delle amministrazioni pubbliche, che conduce i soggetti più deboli come i newcomers ad accettare remunerazioni sottocosto con l’inevitabile dequalificazione delle prestazioni. Anche il professionista diventa sempre più spesso natura di soggetto debole del rapporto contrattuale nei confronti del committente, in un contesto segnato da una sensibile diminuzione dei redditi”.
Nel testo si legge che i professionisti iscritti agli Ordini hanno diritto alla “corresponsione di un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale“. È questa la finalità principale del ddl 2858.
Si tratta di “una oggettiva esigenza per tutti i consumatori perché li mette al riparo da servizi professionali di bassa qualità“ secondo quanto si legge nella relazione illustrativa, a fronte di “servizi professionali resi sempre più qualificati dall’oneroso impiego di tecnologie e dal continuo investimento nell’aggiornamento delle competenze“. I parametri, secondo Sacconi, non ledono i principi del diritto Antitrust in base al quale sono state abrogate le tariffe minime da parte di interventi liberalizzatori.
Il ddl prevede inoltre una disposizione accessoria che rende più favorevole la posizione del professionista in caso di addebito professionale: il termine di prescrizione per l’esercizio dell’azione di responsabilità professionale viene fissato a decorrere “dal giorno del compimento della prestazione” e non “dal momento in cui il cliente prende conoscenza del non corretto esercizio della prestazione professionale, e quindi dal momento in cui il danno si manifesta“. Questo secondo termine di decorrenza, secondo il Senatore Sacconi, va corretto perché ne deriva, di fatto, una sorta di imprescrittibilità che espone il professionista ad una situazione di responsabilità di lunga durata.